Categoria: Anima e profondo

  • di Antonio Di Giorgio

    In questo intricato gioco chiamato vita, ci ritroviamo spesso a essere gli attori principali in un dramma fatto di gelosie, amori contrastanti e amicizie che inciampano nel territorio del possesso. Ma nel caos emotivo, c’è sempre una rete di salvataggio che ci tiene sospesi, pronti a riprenderci e a rialzarci.

    Quando l’amore diventa terreno fertile per la gelosia, ci si ritrova in un turbine di emozioni che è difficile da domare. Queste emozioni inquinano i tuoi giorni, le tue ore, i secondi. È come se ogni sguardo fosse una potenziale minaccia, ogni parola sospetta un tradimento in potenza. Ma, l’amore vero non dovrebbe essere un gioco di controllo, bensì un abbraccio di fiducia reciproca. E quando ci si trova in balia di questa tempesta di gelosia, è importante fermarsi un attimo, respirare e ricordare che l’amore autentico è basato sulla fiducia e sulla libertà.

    E che dire degli amici gelosi? Quelli che, invece di essere felici per i nostri successi, sembrano mettere in discussione ogni nostra conquista. Possono essere come spine nel nostro percorso, ma anche qui, nella selva delle relazioni sociali, c’è una rete di salvataggio che ci sostiene. Gli amici veri, quelli che ci amano davvero, saranno sempre lì per noi, pronti a celebrare le nostre vittorie e ad asciugare le nostre lacrime quando inciampiamo lungo il cammino.

    Le amicizie sono come piante preziose che necessitano di cure e attenzioni costanti. Ma cosa succede quando il seme della gelosia viene piantato in questo terreno fertile? È importante riconoscere che la gelosia tra amici può derivare da una serie di fattori, come la paura dell’abbandono o la competizione non dichiarata. Tuttavia, le amicizie genuine sono basate sulla fiducia reciproca e sulla capacità di gioire per il successo dell’altro. Affrontare la gelosia tra amici richiede comunicazione aperta, empatia e un impegno per superare le sfide insieme. E se queste sfide fossero insuperabili? Giusto sradicare la pianta dal vaso e gettarla via.

    E che dire dell’uomo geloso? Quello che non riesce a gestire la tua indipendenza, che si sente minacciato dalla tua forza e determinazione. È importante ricordare che il vero amore non ha paura di lasciare liberi coloro che ama. Non dovrebbe essere una gabbia dorata, bensì un’opportunità di crescita reciproca. E se trovate un uomo che vi ama per la vostra essenza, che vi incoraggia a volare alto e ad essere la migliore versione di voi stesse, allora avete trovato un tesoro prezioso da custodire.

    In questo viaggio fatto di alti e bassi, è fondamentale riconoscere la bellezza della rete di salvataggio che la vita ci ha donato. Sono quegli abbracci sinceri dopo una giornata difficile, quei sorrisi che ci riscaldano il cuore quando sembra che tutto vada storto. Sono le persone che ci tengono a galla quando sentiamo di affogare nei nostri pensieri più bui.

    Quindi, mentre ci destreggiamo tra gelosie e incomprensioni, ricordiamoci di guardare oltre, di abbracciare la fiducia, di coltivare le amicizie vere e di amare senza limiti. Perché nella vastità dell’universo delle relazioni umane, c’è sempre una rete di salvataggio pronta ad accoglierci e a sostenerci nel nostro viaggio verso la felicità.

    Con empatia Antonio

  • di C.B. e Antonio Di Giorgio

    Quando con C.B. ed Alessia abbiamo ideato la rivista-blog de LeTramedellAnima non avevamo idea di cosa il procedere del tempo ci avrebbe messo fra le dita, sulle nostre mani: sulla tastiera dei nostri computer.

    L’anima: cos’è? La felicità esiste? Perché la memoria ci affligge?

    Questi e altri temi sono esplorati nel romanzo intimo che abbraccia la mia vita, che vuol essere il grido di vittoria sull’esistenza ora tormentata ora serena.

    “Confessioni sotto il vinile”: credetemi sarà come sfogliare una playlist di ricordi, ogni storia una melodia che risuona con il ritmo della vita.

    Il romanzo che state per leggere è il frutto di un’intensa collaborazione, un viaggio attraverso le vite di persone che potrebbero essere vostri amici, vostri vicini di casa, o addirittura voi stessi. È una storia che parla di momenti di felicità, di momenti di tristezza, di momenti di passione e di momenti di disperazione. È una storia che, spero, vi toccherà nel profondo del cuore e vi farà riflettere sulla natura umana e sulle relazioni che intrecciamo lungo il nostro cammino.

    Buon download e buone letture!

    Con empatia: C.B. & Scheggia… “4ever”

  • di C. B.

    Cari lettori dell’Anima…

    In questi giorni abbiamo letto una storia avvincente, un racconto di amore, passione, e una buona dose di dramma, proprio come piace a me. E cosa c’è di meglio di un ritorno al passato per rivivere quei momenti che hanno plasmato il nostro presente? Questa è stata esattamente la mia esperienza con il racconto che ho appena letto.

    “Confessioni sotto il vinile” : credetemi sarà come sfogliare una playlist di ricordi, ogni storia una melodia che risuona con il ritmo della vita.

    Il protagonista di questa storia è “Scheggia”, alter-ego o no, non si sa, è un giovane uomo intrappolato in un turbine di emozioni, incontri e decisioni difficili. Da un lato, c’è Luca, il suo vecchio amore, affascinante e tormentato, che irrompe nella sua vita con una tempesta di passioni e complicazioni. Dall’altro, c’è Emanuele, un nuovo arrivo che porta con sé la promessa di un amore diverso, ma altrettanto travolgente.

    Ovviamente Scheggia, che poi è il direttore delle Tramedellanima.com , cioè Antonio stesso, ai tempi del suo amore per Luca: era il 1990. Ho conosciuto tutti gli amici citati con nomi diversi per proteggere la privacy di tutti… Luca, nella vita reale aveva un altro nome. Sullo sfondo fatti suda Scheggia… Gli fui accanto… Sia questa storia di ispirazione per chi vive amori tossici ed abbia la voglia di uscirne…

    Mi sono ritrovata avvolta in un intreccio di relazioni complesse, dove il desiderio e l’incertezza si scontrano in un balletto sensuale e avvincente. Ho tifato per Scheggia mentre navigava tra le acque agitate delle sue emozioni contrastanti, cercando di trovare il proprio equilibrio in un mare di passioni e conflitti.

    Ma ciò che rende questa storia veramente speciale è la sua capacità di far emergere le sfumature più profonde dell’animo umano. Attraverso i personaggi vividi e ben definiti, ho potuto esplorare le gioie e le tribolazioni dell’amore, l’incertezza e il coraggio di affrontare le proprie paure, e la bellezza e la fragilità dei legami che ci uniscono agli altri.

    E così, mi ritrovo a chiedermi: possiamo davvero controllare il destino, o siamo destinati a essere travolti dalle onde impetuose dell’amore e del destino? Forse è proprio in questo intreccio di domande senza risposta che risiede la vera essenza della vita e dell’amore.

    Parliamo dunque di e-book e vinili, due cose che sembrano provenire da galassie diverse eppure in qualche modo riescono a coesistere nel nostro mondo moderno. Ora, immaginate di unirle insieme, aggiungendo un pizzico di segreti e una spruzzata di nostalgia. Cosa ottenete? “Confessioni sotto il vinile”, l’ultimo e-book che sta per arrivare sui vostri schermi.

    Mentre scorrevo le pagine di questa gemma digitale, non potevo fare a meno di sentire di sfogliare io stessa i miei vinili preferiti, ogni traccia una nuova confessione, ogni solco che nasconde un segreto.

    In un mondo in cui tutto sembra effimero, dove le emozioni sono spesso soffocate dal rumore della vita quotidiana, “Confessioni sotto il vinile” ci ricorda la bellezza della vulnerabilità, il potere di condividere le nostre verità più profonde. È come trovare una traccia nascosta sul tuo album preferito, quella che parla direttamente alla tua anima.

    Quindi, mentre abbracciamo l’era digitale, non dimentichiamo di alzare il volume sulle storie che contano. Tuffiamoci nel mondo di “Confessioni sotto il vinile” e lasciamo che le sue melodie ci portino via in una sinfonia di emozioni. Dopotutto, la vita non è altro che un grande vinile che gira sul giradischi del tempo?

    A breve l’ebook con un link dal nostro sito…

    Con affetto,

    C. B.

  • di Antonio Di Giorgio

    Questo articolo vuol essere l’ideale continuazione del saggio introdotto con l’articolo Gli Dèi. Serve una premessa al lettore che può aver dimenticato gli studi scolastici del Padre nobile dell’Italiano: Dante nel paesaggio dell’Oltretomba non rifiuta affatto la presenza delle divintà dell’Olimpo, le divinità greche e romane. Alcune di esse sono misteriosamente scelte da Dio come punitori delle anime, altre sono divinità nobili invocate e pregate da Dante con giochi lessicali che ci fanno capire come l’Alighieri fosse un esperto erudito in greco ed anche in ebraico: questa erudizione, questo sapere dantesco lo si colloca nella sua istruzione presso i frati francescani di Santa Maria Novella in Firenze, e questa eruduzione compare in tutto l’insieme delle sue opere, quelle scritte in volgare (preferisco a volgare l’espressione italiano antico) e quelle scritte in latino.

    Nell’Inferno Dante viaggia col corpo e l’anima attraverso luoghi paurosi e raccapriccianti, ode grida, bestemmie, lamenti senza fine, respira fetore di letame come fetore di pece per poi arrivare al centro della Terra in cui ai fuochi di dannazione subentrano i ghiacchi e il freddo generato dalle gigantesche ali di Lucifero. Cocito è uno dei fiumi dell’Infern. È descritto come il fiume più profondo e ghiacciato, situato nel nono e più basso cerchio dell’Inferno, riservato ai traditori. Dante descrive il freddo intenso e terribile che si prova lì: Dante menziona chiaramente la “freddura” che si prova nel Cocito, (Inf XXXIV: 51 – 52) suggerendo che il corpo di Dante, come quello di qualsiasi altro individuo, sarebbe stato molto influenzato dal gelo di quel luogo infernale. I fiumi dell’Inferno sono quattro Acheronte, Stige, Flegetonte e Cocito: quest’ultimo ha nel nome un gioco di parole, e compare nell’Eneide di Virgilio: Aen. VI 296-297

    ” turbidus hic / caeno vastaque voragine gurges [l’Acheronte] / aestuat atque omnem Cocyto eructat harenam” traduzione: “Qui un torbido gorgo con fango e vasta voragine bolle e vomita tutta la sabbia dal Cocito.”

    Ma accanto all’Inferno ricco, anzi ricchissimo dell’architettura dell’aldilà fornita dall’Iliade, dall’Odissea e dall’Eneide c’è nel mondo dantesco una reverenza molto importante alle divinità femminili e maschili che potrebbero apparentemente essere un simbolo, ma che a mio avviso vanno oltre; la presenza delle divinità pagane potrebbe essere interpretata come un’espressione della concezione medievale del mondo, che comprendeva un’interpretazione sincretica della religione cristiana e delle tradizioni pagane preesistenti. Questo sincretismo si riflette nel modo in cui Dante fonde elementi della teologia cristiana con la mitologia classica, creando così un’opera che riflette la sua comprensione unica del mondo e della sua struttura cosmologica. Dante invoca le Muse all’inizio del Purgatorio per chiedere ispirazione divina nella narrazione delle sue esperienze e delle sue visioni nel viaggio attraverso il regno del Purgatorio. Questa invocazione riflette la tradizione classica dell’epica, in cui gli autori spesso invocavano le Muse all’inizio delle loro opere per ottenere aiuto nella composizione poetica; invoca Apollo all’inizio del Paradiso poiché Apollo è considerato il Dio delle arti e della poesia nella mitologia classica. Nella visione di Dante, Apollo rappresenta la fonte ultima di ispirazione e conoscenza. Invocando Apollo, Dante cerca di ottenere guida e illuminazione divina nel descrivere le visioni e le rivelazioni che sperimenterà durante il suo viaggio attraverso il Paradiso. L’invocazione ad Apollo, piucché alle Muse fece torcere, disturbò, non pochi commentatori danteschi. Serve capire la ragione esoterica nascosta dell’invocazione? “Il nome di Apollo per gli antichi era da connettersi etimologicamente al verbo apóllumi («uccido»), a significare ‘Sterminatore’; i moderni preferiscono invece metterlo in rapporto a poliós («candido») o alla radice indoeuropea da cui si forma il lat. oculus. Si tratterebbe cioè di ‘colui che vede’, il Sole (Apollo infatti col passare del tempo fu identificato con il dio del sole, Elio). Ma vi è chi ritiene che significhi ‘Parlatore’, ‘Profeta’, affine ad apélla («assemblea»); oppure ‘Allontanatore dei mali’, dalla variante dorica del nome Apéllon legata alla radice da cui si forma il lat. pello («respingo»); o ancora ‘Possente’ da una radice indoeuropea indicante la «forza»”. Dante sembra accogliere la versione del nome legato al candore-forza e allo stesso tempo del senso nascosto, nel nome del Dio, che è “Colui che non è la moltitudine” che sarebbe una parafrasi di uno dei 72 nomi sacri di Dio per l’ebraismo, fra cui: Bet Nun Lamed (בנל) – Forza; Bet Tav Mem (בתם) – Guarigione interiore; Gimel Lamed Nun (גלנ) – Guarigione del dolore.

    “…O predestinazion, quanto remota
    è la radice tua da quelli aspetti
    che la prima cagion non veggon tota! …” Pd, XX: 130-132

    In Paradiso, Dante, tuttavia colloca alcuni pagani: Traiano e Rifeo. Traianoè l’imperatore romano pagano che, secondo la leggenda, fu convertito alla fede cristiana grazie all’intercessione di papa Gregorio Magno. Dante lo colloca nel Paradiso come segno di misericordia divina. Rifeoaltresì è un personaggio mitologico, guerriero troiano, che viene menzionato nel Canto XX dei Paradiso come simbolo di virtù eroica. In Paradiso Dante tenta di affrontare il tema teologico della predestinazione. La dottrina della predestinazione nella teologia cattolica medievale è stata oggetto di dibattito e sviluppo complesso. La predestinazione si riferisce alla convinzione che Dio abbia predestinato alcune anime alla salvezza eterna e altre alla condanna eterna, prima ancora della nascita o prima che le persone compiano azioni meritorie o peccaminose. Nel Medioevo, questa dottrina fu ampiamente discussa e contestata tra teologi, con varie scuole di pensiero che si svilupparono su questo argomento. Alcuni punti chiave riguardanti la predestinazione nella teologia cattolica medievale includono:

    San Agostino: il suo pensiero ha influenzato notevolmente la dottrina della predestinazione nel Medioevo. Agostino insegnava che la grazia divina è predestinata e che solo un numero selezionato di individui viene predestinato alla salvezza, senza alcun merito da parte loro. Scuola di San Tommaso d’Aquino: Tommaso d’Aquino, teologo domenicano, si oppose in parte alla visione di Agostino. Anche se riconosceva la predestinazione divina, Tommaso d’Aquino sottolineava anche il ruolo della libertà umana e dell’azione umana nella cooperazione con la grazia divina per la salvezza. Scuola di Duns Scoto: Giovanni Duns Scoto, un teologo e filosofo successivo a Tommaso d’Aquino, sviluppò ulteriormente la dottrina della predestinazione. Scoto propose la teoria della predestinazione divina basata sulla prescienza di Dio, affermando che Dio prevede le scelte umane, ma non le determina direttamente. Il tema fu dibattuto nei Concili della Chiesa nel corso del Medioevo, con vari punti di vista che furono presentati e dibattuti. Tuttavia, non vi fu mai un consenso definitivo su questo argomento.

    Qual è il mondo religioso di Dante? Credeva davvero in Dio oppure era un anticlericale? Che cosa dicono le sue opere? Nel voluminoso corpo delle opere dantesche, le chiesa del medioevo è descritta come la descriveva già Agostino: casta meretrix, cioè “puttana eppure casta” un ossimoro che traduce e rende bene l’idea della corruzione all’interno delle sacra mura religiose, corruzione che è essa stessa in aperta disobbedienza all’Evangelo della povertà che il medioevo aveva abbracciato nel pensiero ereditato da Francesco d’Assisi, pensiero che aveva una sua essenza nelle visioni ecclesiastiche di pensatori precedenti a lui, riformatori vissuti fra il IX e il X secolo. In generale, Dante mostra una preoccupazione per l’interferenza della chiesa negli affari politici e per la corruzione all’interno della gerarchia ecclesiastica. Tuttavia, è importante notare che Dante non critica la Chiesa come istituzione divina, ma piuttosto i suoi rappresentanti che hanno deviato dalla retta via e hanno abusato del loro potere.

    La relazione tra Dante e la Chiesa è complessa e può essere interpretata in modi diversi. Dante era certamente un uomo del suo tempo e viveva in un’epoca in cui il potere politico e religioso della Chiesa era estremamente influente. Tuttavia, nelle sue opere, Dante espresse spesso critiche nei confronti della Chiesa e dei suoi rappresentanti, denunciando la corruzione e l’abuso di potere.

    Da un lato, Dante mostra rispetto per la figura del Pontefice come Vicario di Cristo, ma d’altro canto condanna apertamente i papi che considera corrotti o inadeguati al loro ruolo spirituale. Nella Divina Commedia, Dante assegna punizioni agli ecclesiastici peccatori insieme ad altri peccatori, riflettendo la sua visione di una giustizia divina imparziale.

    Quanto alla damnatio memoriae di Dante da parte della Chiesa, è importante considerare che le decisioni e le azioni della Chiesa nel corso dei secoli non sempre riflettono la volontà o le intenzioni di tutti i suoi membri o delle autorità ecclesiastiche. La condanna e l’ostilità verso Dante possono essere state influenzate da una serie di fattori, inclusi motivi politici e religiosi del momento. Nel 1329 fu pubblicamente data alle fiamme il De Monarchia per volere di Bertrando del Poggetto, e nel 1613 la Commedia entra nell’Index dei libri proibiti (Damnatio memoriae). Inoltre, le opinioni e le politiche della Chiesa possono cambiare nel corso del tempo, come dimostra il fatto che l’Index dei libri proibiti è stato abolito solo nel 1966. Questo suggerisce che le opinioni della Chiesa su Dante e le sue opere possono essere state rivedute e reinterpretate nel corso dei secoli.

    In conclusione, mentre è vero che Dante fu oggetto di ostilità da parte della Chiesa per un certo periodo di tempo, non è necessariamente corretto interpretare questa ostilità come una condanna definitiva della sua persona o delle sue opere da parte di tutta la Chiesa. La storia complessa delle relazioni tra Dante e la Chiesa richiede una valutazione attenta e una comprensione del contesto storico e delle dinamiche politiche e religiose del tempo.

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    Ecco una bibliografia di libri italiani sul rapporto tra Dante e il mondo pagano:

    1. “Dante e i classici” di Gianfranco Contini – Questo libro esplora il rapporto di Dante con la letteratura classica e il mondo pagano, analizzando le influenze e le citazioni presenti nelle opere dantesche.
    2. “Dante e Virgilio: il viaggio nel mito” di Giovanna Frosini – Questo testo esamina il rapporto tra Dante e il poeta romano Virgilio, esplorando come Dante abbia utilizzato e trasformato le figure e i miti pagani nelle sue opere.
    3. “Dante e la cultura antica” di Massimo Luigi Bianchi – Questo libro analizza il contesto culturale e filosofico dell’epoca di Dante, evidenziando il suo rapporto con la cultura classica e pagana.
    4. “Dante e la poesia pagana: la storia, il viaggio, la lingua” di Fiorenza Weinapple – Questo testo esplora come Dante abbia integrato la poesia pagana nelle sue opere, analizzando il suo uso della lingua e delle tematiche mitologiche.
    5. “Dante e la tradizione classica” di Luigi Allegri – Questo libro offre un’analisi dettagliata del rapporto di Dante con la tradizione classica, esaminando le influenze e le reinterpretazioni dei miti e dei personaggi pagani nelle opere dantesche.
    6. “Dante e i miti antichi” di Paolo Valesio – Questo testo esplora il modo in cui Dante ha reinterpretato e trasformato i miti e le figure dell’antichità classica nelle sue opere, offrendo una prospettiva critica e approfondita.
  • di Antonio Di Giorgio

    E se non ci fosse un solo Dio?

    Quest’interrogativo mi assilla da tutta la mia vita, e intendo che mi ha instillato dubbi sin da piccolo. Chi esiste davvero: un Dio, severo un po’ padrone e dominatore dell’Universo, oppure esistono più Dèi?

    Il cuore dell’Uomo ha invocato dapprima gli Astri del cielo per il proprio conforto, e la preghiera così com’è intesa oggi, non aveva la forma odierna, lontana cioè dalla magia: in passato prima del nascere della preghiera c’era l’incantesimo.

    I poemi omerici, le Scritture ebraiche, le Scritture egiziane e i Veda sono un compendio favoloso della spiritualità umana. L’attuale monoteismo imperante altro non è che l’esito, che il passaggio evolutivo, imposto a viva forza, dal cristianesimo.

    Il cielo è abitato dagli Dèi? Si. E qual è questo cielo nel XXI secolo?

    La prospettiva cristiana è abbastanza sconvolgente, perché attualmente nel contesto religioso cristiano accanto alla logica del “Sermone del monte” che è il punto di riferimento dell’etica e della morale del cristianesimo, si è imposta una gigantesca sovrastruttura respingente: Cristo odierebbe tutti i nemici della chiesa (istituzione che non ha mai veramente fondato, che fu creata da Paolo di Tarso), Cristo odierebbe i gaudenti, i fornicatori (strano perché li frequentava stando ai racconti dei Vangeli sinottici, mentre l’odio avverso alla categoria della lussuria lo crea Paolo di Tarso) ed infine Cristo giudice dell’Universo manderebbe all’inferno chiunque commetta un atto impuro oggi fondamentale nella prevenzione del cancro alla prostata o al cancro al seno. Tutto ciò che ho scritto non è che una somma abbastanza veritiera delle verità di fede cattoliche che sono all’interno del Catechismo cattolico redatto dai papi: Giovanni Paolo II e Benedetto XVI due pontefici strani: il primo recentemente ha subito una pesantissima accusa di pedofilia circostritta dalle congetture sul caso Emanuela Orlandi, il secondo a causa della dilagante pedofilia ecclesiastica ha preferito il narcisistico ritiro dalle scene, con una abdicazione che lo ha reso santo nonostante le gaffe mostruose commesse che sono costate la persecuzione ad alcuni cristiani in parti del mondo in cui l’Islam è intollerante con chiunque. C’è di che essere anticlericali, se un cattolico iniziasse a capire come il Trono della Bestia a Roma sia fumante del fumo satanico, per parafrasare una metafora di un altro papa, Paolo VI. Eppure se il cristianesimo farebbe disgustare per l’apparato teologico respingente che possiede, il cristianesimo ha un’essenza inclusiva che ha contribuito all’evoluzione e al cambiamento delle mentalità.

    Il cielo degli Dèi era un cielo misericordioso, più misericordioso di quanto si possa immaginare. Esiste nella letteratura religiosa pagana un corpo importante di preghiere agli Dèi e alle Dee affinché donino: pane, vino, clima sereno che non provochi cataclismi, che allontanino dalle città i pericoli delle invasioni di locuste e zanzare, che allontanino i morbi dagli animali, restituiscano la salute ai bambini come ai vecchi e tante, innumerevoli sono le preghiere in prossimità del fine vita. Questa memoria sta sparendo: queste preghiere, tuttavia si sono trasformate e sono entrate nelle consuetudini religiose e spirituali del monoteismo. La preghiera del Padre nostro ha origini molto antiche, presso i Sumeri e gli Egizi esistevano preghiere molto simili, in cui si invocava al cielo di sostenerci col cibo e di poter ottenere giustizia avendo subito dei torti: erano preghiere la cui base logica era dentro i confini delle leggi del Codice di Hammurabi del XVIII secolo a. C. che era composto da 282 clausole legali, il che fa supporre che quelle leggi esercitassero una potentissima influenza sociale e morale.

    “Inno Vedico” (tradizione vedica)

    Attraverso l’aria egli vola, volgendo lo sguardo a tutti gli esseri: con la maestà del cane celeste, con quella oblazione intendiamo pagrti il tributo di omaggio […] Nelle acque è la tua origine, sui cieli è la tua dimora, nel mezzo del mare e sulla terra la tua grandezza”.

    “Contro lo spirito del male (tradizione sumerica e mesopotamica)

    Partite partite, partite dal mio corpo, dal mio corpo fuggite e nel mio corpo non ritornate. Al mio corpo non accostatevi, il mio corpo non possedetevelo!

  • di Antonio Di Giorgio e Celeste Bennardis

    Quando andavo a scuola, negli anni prima delle leggi razziste la valutazione era in decimi: la maestra ci correggeva gli errori, a volte ci sgridava a volte ci carezzava, e ci faceva esercitare la memoria con poesie, alcune erano belle perché parlavano delle quattro stagioni o delle feste, altre purtroppo erano fasciste“. Questi i ricordi di Celeste Bennardis, che ha fatto le scuole elementari prima del 1937, a quel tempo la valutazione era in decimi, la scuola era un luogo di rispetto sociale perché la cultura, il sapere non erano per tutti, eppure la società del trentennio del XX secolo aveva una saggezza ereditata dal XIX secolo, mentre la saggezza del XXI secolo dove riesede?

    Nella lingua italiana, il termine “squola” rappresenta una variante non convenzionale e spesso caricata di emotività della parola “scuola”. Mentre “scuola” evoca comunemente concetti di apprendimento, educazione e crescita personale, “squola” può trasmettere una serie di sfumature emotive, tra cui frustrazione, disagio e talvolta rabbia nei confronti dell’istituzione scolastica.

    La rabbia verso la scuola può derivare da varie fonti. Alcuni individui possono percepire l’istruzione tradizionale come oppressiva, rigida e disadattata alle esigenze individuali degli studenti. Le metodologie di insegnamento tradizionali, basate sulla trasmissione di conoscenze tramite lezioni frontali e il ricordo mnemonico, possono non essere in grado di stimolare l’interesse e l’entusiasmo degli studenti, portandoli a considerare la scuola come un luogo noioso e privo di significato.

    Inoltre, la pressione del sistema educativo, caratterizzato da valutazioni standardizzate e competizione accademica, può contribuire ad aumentare la tensione e la frustrazione degli studenti. L’ansia legata alle prestazioni, le aspettative irrealistiche imposte dagli insegnanti o dai genitori e la mancanza di sostegno emotivo possono generare sentimenti di rabbia e disillusione verso la scuola.

    In alcuni casi, la rabbia verso la scuola può derivare da esperienze negative legate al bullismo, alla discriminazione o al trattamento ingiusto da parte dei compagni di classe o del personale scolastico. L’ambiente scolastico, anziché essere un luogo sicuro e inclusivo, può trasformarsi in un contesto di conflitto e sofferenza emotiva per gli studenti, alimentando sentimenti di rabbia e alienazione.

    Che esista un’isteria nella società è comprovato sin dagli studi sociologici di Niklas Luhmann. Egli è sicuramente uno degli studiosi più importanti nel campo della sociologia del XX secolo. Luhmann, sociologo tedesco, è noto soprattutto per la sua teoria dei sistemi sociali. La sua opera più influente è “La società dei sistemi” (1975), in cui ha sviluppato una teoria complessa dei sistemi sociali, in cui ha analizzato la società come un insieme di sistemi interconnessi, ognuno dei quali è caratterizzato da comunicazione e autopoiesi. La complessità sociale fa si che il sistema politico, democratico si interroghino in modo cencreto per dare un’evoluzione migliore ai livelli di istruzione ai propri crittadini, ma l’Italia ha un serio problema: rivaleggia sin troppo coi costrutti internazionali le metodologie innovative scordando il patrimonio storico della pedagogia scientifico-sperimentale cui fecero capo Montessossi.

    Maria Montessori è stata una pedagogista italiana che ha sviluppato un approccio educativo innovativo noto come “metodo Montessori”. Il suo metodo si basa sull’idea che i bambini sono naturalmente curiosi e desiderosi di imparare, e quindi l’ambiente educativo dovrebbe essere progettato per favorire l’esplorazione e l’autonomia. Montessori ha fondato la sua prima Casa dei Bambini nel 1907 a Roma e ha successivamente diffuso il suo metodo in tutto il mondo. Le scuole Montessori in Italia oggi sono circa 500, distribuite fra settore pubblico e privato. Quando si parla di valutazione – nell’epoca dei Tiktoker e degli immersivi docenti influencer che si atteggiano a a motivatori seriali pompando gli adolescenti con suggerimenti talora sensati e il più delle volte improbabili – essa si deve commisurare al fenomeno dell’iperprotezione da voto, secondo cui un 3 per una irresponsabilità sullo studio è un trauma, un 2 per un compito consegno in bianco è un trauma un 3 in italiano o in matematica o nel compito di economia sono traumi, ed è bene essere chiari: il trauma non è un voto scolastico, un trauma psicologico è uno stupro, vivere in zona di guerra, un incidente d’auto, ossa rotte, esser vittima di aggressione e pestaggio, esser vittima di un cataclisma ambientale, un rapimento, questi sono i reali traumi, un voto scolastico è la presa di coscienza che c’è un problema scolastico d’istruzione da superare, e lo si supera non con aggredire gli insegnanti, denunciare la scuola e fare ricorsi al Tar, no, ma serve responsabilità ed orientamento.

    La settimana si sta concludendo con un dibattito acceso sul ritornare alla scuola primaria (nel gergo popolare sono le elementari, ed è a mio avviso romantico ed emotivamente più bello continuare a chiamarle tali) alla valutazione dei giudizi piuttosto che di queste voci che esistono e sono il frutto di una mediazione fra la riforma Moratti-Gelmini-Renzi-Azzolina che hanno destabilizzato il sistema scuola che era già gravemente in crisi dagli anni Ottanta del secolo precedente. Quella crisi iniziò quando apparve la riforma dei contenuti della scuola primaria, svuotandola degli studenti culturali esistenti: i validissimi sussidiari degli anni ’60 e ’70 che avevano un compendio serio di sapere che poteva essere assolutamente adattato alle esigenze di cambiamento. Ricordo di aver studiato e partecipato a tavole e conferenze in cui questi problemi si discutevano in modo acceso e appassionato, tutto sembrava paradossale per me, perché notavo che tali studi si prostituivano alle logiche più di mercato che di effettiva realizzazione del bambino che entrava nel mondo della scuola. I bambini a scuola entrano coi loro guai: guai familiari in primis, di salute e di adattamento.

    Il bambino che arriva alla prima classe primaria-elementare è stato messo al mondo dai suoi genitori con due possibilità: gravidanza desiderata o indesiderata. Spesso noi insegnanti siamo i confidenti di madri che raccontano storie di abusi e violenze domestiche, e abbiamo assistito a madri che chiedevano aiuto morale e materiale (non esiste un docente che ho incontrato nel mio percorso lavorativo che non si sia adoperato moralmente e materialmente per sostenere famiglie in seria indigenza e con seri problemi, abbiamo fatto tutti del nostro meglio e un tempo i servizi sociali erano collaborativi con la scuola, oggi sono uno strumento asettico, burocratico e de-umanizzato).

    Tuttavia, è importante riconoscere che la rabbia verso la scuola non deve essere ignorata o minimizzata, ma piuttosto utilizzata come punto di partenza per un dialogo costruttivo e un miglioramento del sistema educativo. Oggi si tende a parlare di ascolto attento delle preoccupazioni degli studenti, il coinvolgimento attivo degli insegnanti e la promozione di un clima scolastico positivo e inclusivo sono passi fondamentali per affrontare le cause sottostanti della rabbia e per creare un ambiente educativo più gratificante e significativo per tutti gli studenti, ma è assolutamente importante riportare la questione valutazione su un piano di consapevolezze e di responsabilità individuali, perché esiste il rischio di promuovere gli scansafatiche, i fannulloni che arrivano a scuola privi di seri interessi e di motivazioni. La motivazione individuale è un concetto chiave in psicologia che si riferisce alle forze interne ed esterne che spingono un individuo a comportarsi in un modo particolare o a perseguire determinati obiettivi. La comprensione della motivazione individuale è fondamentale per comprendere il comportamento umano, l’apprendimento, la performance lavorativa, la realizzazione personale e molte altre sfaccettature della vita quotidiana.

    Vorrei sottolineare che in fase orientativa ha particolare importanza la teoria motivazione detta “Teoria dell’autorealizzazione”: questa teoria, sviluppata da Abraham Maslow, suggerisce che le persone sono motivate dalla ricerca di realizzare il proprio potenziale e di raggiungere uno stato di auto-realizzazione. Maslow ha proposto una gerarchia dei bisogni umani, con i bisogni più bassi (fisiologici e di sicurezza) che devono essere soddisfatti prima che gli individui possano perseguire obiettivi di auto-realizzazione. E qual è il proprio pontenziale? Esso emerge sin dalla prima infanzia, per cui “Genitori ovunque voi siate, svegliatevi e unitevi alla ricerca delle motivazioni dei vostri figli, il rischio è fare di loro esperti scansafatiche.

    A questo Link è possibile trovare informazioni sul sito istituzionale dell’Istruzione sulla normativa della valutazione.

  • di Antonio Di Giorgio

    Esiste una diffocoltà di quest’epoca nel rendere interessanti all’ attuale generazione di allievi, delle scuole superiori, i complessi mondi degli intellettuali che hanno resa l’Italia grande nel contesto culturale internazionale. Questa difficoltà ha un nome: indifferenza, e purtroppo questo distacco ed insensibilità taluni esperti di adolescenza lo leggono in chiave iperprotettiva, taluni ne fanno una questione morale e di valori assenti, io ne faccio una questione di “inizio di oblio” un inizio mostruosamente iniziato anni orsono. Ricordo che già nel 1997 ad una candidata alla maturità chiedendo che cosa le avesse lasciato nel suo animo de “L’ Infinito” di Leopardi, la risposta sconvolgente fu “L’ autore contempla il verde dell’erba”: orbene una risposta che avrebbe fatto voltare nella tomba De Sanctis che fu il primo critico estimatore del titanismo di Leopardi. Negli anni a venire non ebbi migliori risposte dal campione di allievi che ho avuto, certamente negli anni in cui insegnai all’Elba ricordo gli appassionati tormenti interiori dei miei alunni isolani, purtroppo tra di loro annovero un numero (che ora ho smesso di tenere a mente) di suicidi: quei giovani, a me cari, da me tanto sostenuti insieme a splendidi colleghe e colleghi di Italiano di Diritto, Matematica ed Economia, quei giovani in loro sperimentavano l’esperienza dello “scoglio” (l’Isola) che era metafora della solitudine, e in quella loro dilatazione dell’anima s’incamminavano verso il loro titanismo. Non vedo nei miei attuali allievi nulla che mi faccia rendere felice del loro titanismo, nulla, e questo per me non è più motivo di preoccupazione, e la ragione è il contesto in cui opero: l’epoca dell’anti-innocenza e dell’ipnosi da social-media.

    L’energico sentimento del mondo morale è il mondo interiore, ma anche del suo contrario la realtà esterna. Se da un lato esiste il mondo Ottocentesco, che è un mondo in cui la sofferenza patita a causa di patologie gravi era vista e percepita come castigo divino, dall’altro esiste un Ottocento, quello scientifico, in cui le scienze biologiche forniranno i presupposti per cui la diversa abilità le deformità fisiche col tempo potranno essere superate. Ci vorrà più di un secolo perché questa mentalità nasca e sviluppi una coscienza del tutto nuovo.

    Nei Disegni letterari Leopardi ricorda un fatto di cronaca singolare: il suicidio di una monaca. C’è una diatriba sull’identificazione della religiosa suicida, tuttavia esiste un tentativo ermeneutico in Palazzeschi ne Il convento delle Nazarene1. Palazzeschi, infatti, nel rievocare il ricordo leopardiano, delinea la solitudine delle monache, invitando il lettore a suggestioni intense: esse oggi sarebbero possibili ?

    Certamente fra le suggestioni leopardiane il paesaggio recanatese è di primaria importanza, e abbiamo notato come da un fatto di cronaca che certamente lo colpì profondamente, sia possibile ricavare un piano di comprensione anche di natura spirituale di Leopardi, sulla scorta delle intuizioni percepite da De Sanctis e Sapegno e poi abbandonate dalla stragrande parte della critica leopardiana, impegnata a leggere l’aspirazione civica e sociale dell’intellettuale marchigiano.
    La natura quindi nell’intenzione del disegno/progetto del romanzo avrebbe dovuto essere investigatrice dei moti interiori.
    La suggestione di Palazzeschi al ricordo di Leopardi dà l’occasione di ripensare il
    recanatese e la sua visione anche secondo una prospettiva trasnpersonale

    All’affettuoso ricordo, immortale di: Margherita Vai e Patrizia Piscitello, colleghe ed amiche scomparse troppo presto.

    Al ricordo di stima e affetto incmmensurabile di: Paola Modigliani, Paola Valvason, di Elena Santucci e Ada Negri

    Con empatia…

  • di Antonio Di Giorgio

    Nel febbraio 1858 non lontano dai Pirenei Aquerò apparve a Bernadette, una bambina docile, dallo spirito eclettico, cresciuta oggi diremmo in contesti disfunzionali: secondo il procuratore imperiale di Lourdes la madre di Bernadette aveva fama di ubriacona, una delle zie della Santa aveva un bar e la piccola Bernadette vi ci lavorò per un po’ di tempo; insomma un quadro non difforme da certe realtà cui siamo abituati anche oggi, tuttavia Bernadette aveva un “quid” cioè aveva ricevuto un’educazione all’amore e alla pietà religiosa. Oltre tremila interrogatori subì nel periodo in cui la commissione vescovile la sentì per validare o meno le apparizioni di Aquerò: così Bernadette chiamava la Signora, Aquerò cioè “Quella lì”. Nell’immagine, c’è il corpo di Bernadette riesumato nel 1925 quasi un secolo fa, che porta la colatura di uno strato di cera sul naso che si era putrefatto e su parte delle mani, lo stesso viso è stato cosparso da cera e modellato su quanto restava del volto della Santa.

    Le innamorate del cielo sono un coro di donne che la nostra epoca sta scordando, e di cui non ha più una memoria collettiva solida. La ragione dell’oblio è certamente lo svuotamento del sacro, in un’epoca come la nostra in cui il divino si è desacralizzato, e il fanatismo religioso genera mostri che uccidono in nome del cielo che tutti percepiamo come un luogo assente e distante da noi. L’amore dopotutto è una sublime esperienza umana fatta di sperimentazione di presenza e assenza al tempo stesso, di partecipazione costruttiva e di allontanamento inconcepibile. Le Scritture bibbliche lo attestano da sempre: Dio non resta con Adamo ed Eva in Eden, non resta accanto ad Abele e Caino, non resta con Noè, neppure resta con Abramo e tantomeno con Mosè, a cui anzi rimprovererà moltissime condotte; Dio sembre esser il misterioso amore di Ester e Noemi, è nel mistero che accorda ad Anna il dono di Samuele, ed è sempre l’amore assente di Dio ad ispirare le più belle pagine poetiche dei Salmi di re Davide e del Cantico dei cantici: il tripudio, ovvero la quintaessenza dell’amore sensuale, erotico e trasportante degli amanti, e a ben ragione e senza eresia alcuna il Cantico di Salomone celebra l’amore sublime passionale ed erotico in tutte le sue forme e passioni, e sebbene nato in contesto eterocentrico, il Cantico ha in sè ogni primizia per esser letto in chiave inclusiva: perché se Dio è Amore e Amore è Dio, e se Amore è ovunque Amore cerca e dona e nell’amore non c’è macchia di condanna, perché sin dalla Creazione il tempo stesso fu tutto benedetto e Dio stesso vide che la creazione era essa stessa Santa: in questo c’è una dimensione assolutamente unica che è poco presente in altre religioni.

    Non solo Bernadette amò Aquerò, ma vorrei ricordare una monaca molto fortunata, che come Bernadette subì persecuzione; e come scrive A. Maggi la persecuzione più feroce e dolorosa non viene dai nemici della fede, ma da quelli più vicini: “e i nemici dell’uomo saranno quelli della sua casa” (Mt 10,36). Vorrei cioè parlare di Caterina Cesi di Aquasparta Della Rovere, sorella di Federico Cesi il creatore dell’Accademia dei Lincei.

    Caterina, contro la propria volontà, si ritrovò vincolata in matrimonio al Marchese Giulio Della Rovere, un uomo libertino che le causò solo sofferenza. L’unico momento di gioia nella loro unione fu la nascita della loro figlia, un evento che Caterina ricorderà con affetto nel libro che le fu ordinato di scrivere dai suoi superiori ecclesiastici. Tuttavia, questa felicità fu breve, poiché la bambina morì a soli quattro anni. Questa tragedia segnò l’inizio di un periodo di profonda lotta interiore per la Marchesa. Nonostante il dolore della perdita della figlia, Caterina continuò a frequentare gli ambienti mondani che il suo status nobiliare le imponeva, cercando forse una via di fuga dalla sua infelice situazione matrimoniale. Tuttavia, il suo spirito fu gradualmente trasformato quando, come racconterà più tardi nella sua autobiografia, Dio ebbe la vittoria sulla sua anima. Stanca degli abusi e delle vessazioni perpetrate dal marito, Caterina decise di agire. Rivolgendosi al Vaticano, ottenne un Breve papale emanato nel 1622 da Papa Gregorio XV (1621-1623) per l’annullamento del suo matrimonio. Questo segnò un punto di svolta nella vita della nobildonna, liberandola da un legame che le aveva portato solo tormento e sofferenza. Anch’essa innamorata di Dio abbracciò la regola del Carmelo, e fondò in Roma il primo luogo di culto intitolato a Teresa d’Avila.

    Un’altra innamorata di Dio fu Celina Maria del Sacro Cuore, al secolo Evelina Piccioli (1888-1974), fu lei che portò la comunità claustrale fondata dalla Cesi a Livorno nel 1938. La vita di Madre Celina fu segnata da una singolare vocazione religiosa. Dopo esser fuggita da casa per entrare nel Carmelo di Modena, fu costretta dai suoi parenti a lasciare il monastero e fu ricoverata in un manicomio. Tuttavia, una causa intentata a suo favore le restituì la libertà nel 1922, permettendole di tornare al Carmelo e diventare Carmelitana Scalza nel 1925.

    Molte sono le donne sinceramente innamorate dell’amore per la Vergine Maria e per il buon Dio che hanno donato se stesse all’idea di amor sublime dentro un convento, alcune sono grandi mistiche nascoste, che nel profondo e abissale silenzio del tempo danno al nostro tempo un mirabile esempio di coraggio da innamorate.

    La vita claustrale non è facile o semplice, lo si legge in molte pagine biografiche del bellissimo romanzo (best-seller) della Hulme, che invito a rileggere e risfogliare.

  • di C.B.

    La questione del razzismo in Italia è complessa e dibattuta. Come in molte altre nazioni, l’Italia ha affrontato e continua ad affrontare sfide legate alla discriminazione, alla xenofobia e al razzismo. Ci sono stati episodi di discriminazione e atti razzisti riportati nel Paese, sia su base individuale che istituzionale. Il Festival di Sanremo, uno degli eventi musicali più importanti in Italia, non è immune dalle problematiche legate al razzismo e alla discriminazione. Nel corso degli anni, ci sono stati episodi e controversie che hanno evidenziato tali questioni durante il festival. Uno degli esempi più noti riguarda il dibattito sulla rappresentazione e la visibilità delle minoranze etniche e culturali all’interno del festival. In passato, alcune edizioni del Festival di Sanremo sono state criticate per la mancanza di diversità nei partecipanti e nelle proposte musicali, con l’accento posto principalmente sulla musica e sugli artisti italiani di etnia bianca. Inoltre, ci sono stati episodi di commenti razzisti e discriminatori nei confronti degli artisti di origine straniera o di minoranze etniche durante il festival. Questi commenti hanno sollevato polemiche e hanno portato all’attenzione pubblica la questione del razzismo nel contesto dell’industria musicale italiana e della società nel suo complesso.

    Cos’è il razzismo italiano? Che origine ebbe? Sicuramente è importante sottolineare che l’Italia è anche una società multiculturale con una lunga storia di accoglienza e integrazione di persone provenienti da diverse culture e background. Ci sono molte comunità etniche e culturali che vivono pacificamente in Italia, contribuendo alla ricchezza della società.

    Mi chiedo, in questa Italia cosmopolita, dove le tendenze della moda cambiano più velocemente delle stagioni, perché il razzismo sembra ancora così radicato? Forse è perché la moda può essere comprata, ma la mentalità deve essere cambiata. Il razzismo non è solo un problema di strada, è un problema di cuore e di mente. E se vogliamo essere veramente alla moda, dobbiamo iniziare a indossare l’empatia e il rispetto come accessori indispensabili. Certo: l’obiettivo sembra lontano ed inarrivabile, però è fattibile.

  • di C.B.

    Arrivano spesso giorni difficili ed impossibili, poi mi ritrovo con il mio laptop a scrivere di quanto sia invivibile andare avanti con il procedere della settimana e ad essere stremati e stressati.

    Potrebbe sembrare che i tacchi alti siano l’unico ostacolo nella vita di una donna lavoratrice, ma esiste un altro nemico nascosto che si annida dietro le luci al neon e le scrivanie impolverate: le fatiche del lavoro settimanale. Ogni settimana, ci ritroviamo a ballare con la musica delle nostre responsabilità, cercando di non inciampare nei nostri stessi passi.

    I lunedì sono come un paio di scarpe nuove: promettenti, ma scomodi. Ci avviciniamo alla scrivania con il cuore in gola, sperando che il caffè ci dia la spinta necessaria per affrontare la montagna di email che ci aspetta. Il martedì è come un paio di zeppe: ci sentiamo un po’ più in equilibrio, ma cominciamo a sentire il peso dei progetti che si accumulano.Il mercoledì è il punto di svolta, come una svolta improvvisa sulle strade trafficate della vita lavorativa. Siamo a metà settimana e, nonostante la stanchezza si faccia sentire, possiamo già intravedere la luce alla fine del tunnel. Il giovedì è come un paio di ballerine: leggere e aggraziate, ma ancora impegnative. Ci muoviamo con grazia tra riunioni e scadenze, sperando di non perdere l’equilibrio.E infine arriva il venerdì, come un paio di comode sneakers dopo una lunga giornata con i tacchi. Finalmente possiamo tirare un sospiro di sollievo e lasciarci andare alla promessa di un fine settimana di meritato riposo. Ma anche mentre togliamo le scarpe, sappiamo che presto sarà di nuovo lunedì e che dovremo ricominciare da capo.Quindi, mentre guardo fuori dalla finestra del mio appartamento, mi chiedo: quanto peso possono sopportare davvero i nostri piedi? E forse, più importantemente, quanto peso possono sopportare le nostre anime? Ma alla fine della giornata, con una risata e un bicchiere di vino in mano, so che saremo pronte a metterci di nuovo in gioco, perché questo è il balletto della vita lavorativa, e noi siamo le ballerine della nostra storia.

    Questa settimana resta per m come quella fra le più faticose mai vissute nei miei ultimi anni: lo stress è nemico del respirare sano e del sostare dentro un confine fatto di leggerezza e benessere.

    Adoro la calma del pomeriggio del venerdì: vorrei poter vivere in eterno dentro un calmo pomeriggio del venerdì e gustare la serenità dello stare sola con me stessa, i miei pensieri e avere la possibilità di meditare su questo nostro tempo divoratore e cannibale di giorni snervanti.

    Con empatia

  • di Antonio Di Giorgio

    La psicologia del lavoro è un settore dell’analisi del lavoratore che è recente, e gli psicologi del lavoro sono essi stessi psicologi di comunità. Il lavoro è per definizione una attività che presenta fatica, intesa come la fatica di concentrarsi, di esser vigili a se stessi e a volte verso gli altri, e soprattutto il lavoro è diviso in categorie o gruppi che prevedono le attività in squadre/gruppi oppure il lavoro autonomo. Quest’ultimo secondo alcune statistiche ha come prerogativa la maggior soddisfazione nell’autorealizzazione individuale, mentre per i lavori in squadra le cose vanno diversamente: vivere per ore in un contesto dissonante genera delle risposte emotive spesso di frustrazione ed allora coloro che abitualmente ci stanno accanto potrebbero accorgersi dei cambiamenti d’umore che talora sfuggono alla percezione indivuale, cioè alla percezione di se stessi.

    Ansia lavorativa. E’ la preoccupazione costante e eccessiva legata al lavoro, spesso è accompagnata da timori di commettere errori o di non essere in grado di gestire le responsabilità professionali; ad essa spesso si allinea, si associa un sentimento di insoddisfazione o irritazione causato dalla difficoltà a raggiungere un obiettivo o gestire una situazione specifica: la frustrazione.

    Vorrei sottolineare il concetto di “lavoro tossico” cercando di far capire, in psicologia del lavoro, che ci si riferisce a un ambiente di lavoro che è dannoso per la salute mentale e il benessere dei lavoratori.

    Un lavoro “tossico” è caratterizzato da condizioni o dinamiche che possono portare a stress e disfunzioni significative. Alcuni elementi chiave di un lavoro tossico includono:

    1. Ambiente ostile: il clima di lavoro caratterizzato da tensioni, conflitti, bullismo o altre forme di comportamento negativo tra colleghi o superiori.
    2. Carico di lavoro eccessivo: un elevato volume di lavoro, spesso con scadenze irragionevoli o aspettative non realistiche, che possono portare a stress cronico e esaurimento.
    3. Mancanza di supporto: la mancanza di sostegno emotivo o risorse da parte dei colleghi o dei superiori può contribuire a sentimenti di isolamento e impotenza.
    4. Carenza di riconoscimento: la mancanza di apprezzamento o riconoscimento per il lavoro svolto può portare a insoddisfazione e disimpegno.
    5. Inequità e ingiustizia: Politiche aziendali percepite come ingiuste o disuguaglianze nell’assegnazione di compiti e opportunità possono causare tensioni e frustrazioni.

    Il burnout è uno stato di stress estremo causato da un lavoro eccessivo o stress cronico. Si verifica quando una persona è esposta a pressioni e richieste emotive prolungate senza sufficiente supporto o capacità di recupero. I sintomi tipici includono affaticamento persistente, distanza emotiva dal lavoro, e una riduzione delle prestazioni. Il burnout è spesso associato a sensazioni di frustrazione e incapacità di far fronte. È un fenomeno riconosciuto nella salute occupazionale e può influenzare la salute mentale e fisica.

    Il rust – out, d’altra parte, si riferisce a un tipo di esaurimento legato al lavoro che si verifica quando una persona si trova in una situazione lavorativa che è monotona, noiosa o priva di sfide significative. In questo caso, la mancanza di stimolazione mentale e di un senso di realizzazione può portare a un graduale declino dell’interesse, dell’energia e delle prestazioni sul lavoro. Mentre il burnout è spesso associato a carichi di lavoro eccessivi, il rust out è legato a situazioni lavorative che non soddisfano le esigenze di stimolazione e realizzazione personale. La noia e la mancanza di stimolazione possono essere associate al concetto di “rust out”, che si riferisce a uno stato di esaurimento dovuto alla monotonia. La routine può essere un fattore contribuente al rust out, specialmente quando diventa eccessivamente prevedibile e priva di elementi stimolanti.

    La World Health Organization (WHO) ha riconosciuto il burnout come una “sindrome legata allo stress del lavoro non gestito con successo” nel 2019, inclusa nella Classificazione Internazionale delle Malattie (ICD-11). La definizione della WHO comprende tre dimensioni: sensazione di esaurimento o esaurimento di energia, aumento della distanza mentale dal proprio lavoro o sentimenti di negativismo nei confronti del proprio lavoro, e ridotta efficienza lavorativa. Sebbene il DSM-5 non fornisca una diagnosi specifica per il burnout, molti professionisti della salute mentale considerano importanti gli aspetti legati allo stress occupazionale e al benessere psicologico nella valutazione e nel trattamento dei pazienti

    Vorrei analizzare il principio delle “routine” ed individuare i lavori che principalmente generano effetti di rust-out.

    I lavori di routine sono caratterizzati da attività ripetitive e prevedibili, spesso eseguite in modo sequenziale o regolare. Tali lavori possono offrire una certa stabilità, ma possono anche portare alla noia e al rischio di rust out se manca la varietà o la sfida. Ecco alcuni esempi di lavori di routine:

    1. Operatore di produzione in catena di montaggio: assemblare parti o prodotti in una catena di montaggio, eseguendo spesso le stesse operazioni in modo ripetitivo.
    2. Cassiere in un supermercato: scansionare prodotti, gestire transazioni di cassa e fornire assistenza ai clienti seguendo una routine quotidiana.
    3. Addetto alle pulizie: eseguire attività di pulizia regolari in ambienti come uffici, hotel o strutture pubbliche, seguendo una routine specifica.
    4. Addetto alle consegne: conduzione di veicoli per effettuare consegne secondo un programma predefinito.
    5. Insegnante: nonostante la presenza di una certa routine nelle attività di insegnamento, è importante notare che ogni giorno può portare nuove sfide e interazioni uniche con gli studenti, tuttavia il dover costantemente essere inseriti in un ambiente di età sempre uguale e fissa genera in molti docenti un fluire di Up and Down in termini di stress e di percezione del giorno, come confermato da alcuni studi.

    Conclusioni

    L’esaurimento nervoso, noto anche come sindrome da burnout, è uno stato di affaticamento fisico e mentale estremo causato da stress prolungato o cronico. Si verifica spesso in situazioni in cui una persona si sente sopraffatta, esausta e incapace di far fronte alle richieste quotidiane. Questo stato può avere effetti negativi sulla salute fisica e mentale: gli alti livelli di stress indicono in modo significativo sulla produzione stessa delle cellule del sangue, soprattutto di quelle chiamate CD4 e CD8 globuli bianchi (leucociti) nel sangue: queste cellule difendono l’organismo dalle infezioni.

    La sindrome da burnout è riconosciuta come un problema di salute occupazionale e può avere un impatto significativo sulla salute mentale e fisica delle persone colpite. Le cause possono includere un carico di lavoro eccessivo, mancanza di supporto, scarsa gestione del tempo lavorativo e personale del lavoratore, e fattori organizzativi stressanti. Il trattamento può coinvolgere interventi psicologici, gestione dello stress, cambiamenti nella routine lavorativa, e, in alcuni casi, potrebbe essere necessario prendersi una pausa dal lavoro per recuperare. La prevenzione è altrettanto importante, ed è consigliabile promuovere un ambiente di lavoro sano, gestire lo stress in modo efficace e favorire un equilibrio tra vita professionale e personale.

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    Bibliografia

    La sindrome da burnout. Riconoscerla, prevenirla, affrontarla” di Willy Pasini

    Willy Pasini, psichiatra e psicoterapeuta italiano, affronta il tema del burnout fornendo informazioni sulla sua riconoscibilità, prevenzione e gestione.

    Burnout. Come superare lo stress lavorativo e ritrovare il piacere di lavorare” di Salvatore Madaro

    Salvatore Madaro, psicoterapeuta cognitivo-comportamentale, esplora il concetto di burnout e offre suggerimenti pratici per superare lo stress lavorativo.

    Fermati e pensa. Superare il burnout e scoprire il senso del lavoro” di Fausto Bonacini

    Fausto Bonacini, psicologo e psicoterapeuta, affronta il tema del burnout concentrandosi sulla ricerca di significato nel lavoro.

    Burnout: come affrontare lo stress lavoro-correlato” di Patrizia Gorini

    Questo libro fornisce un approccio pratico per affrontare lo stress lavoro-correlato e prevenire il burnout.

    Sconfiggi il burnout. Riprendi il controllo del tuo tempo e della tua vita” di Daria Dall’Olio e Antonio Chianese

    Gli autori offrono consigli pratici per gestire il tempo, evitare il burnout e riconquistare il controllo della propria vita.

    E inoltre:

    “The Burnout Cure: Learning to Love Teaching Again” di Chase Mielke; questo libro affronta il burnout degli insegnanti e offre strategie pratiche per riacquistare la gioia nell’insegnamento.

    “Burned Out, Beaten Up, Fighting Back: A Call to Action for America’s Public Educators” di Frank DeAngelis e MaryBeth Blegen. Gli autori esplorano le sfide che gli insegnanti affrontano oggi e forniscono suggerimenti su come affrontare il burnout.

    “The Happy Teacher Habits: 11 Habits of the Happiest, Most Effective Teachers on Earth” di Michael Linsin. Sebbene non si concentri specificamente su burnout o rust out, questo libro offre consigli pratici su come costruire abitudini positive per mantenere la soddisfazione nell’insegnamento.

    “Awakened: Change Your Mindset to Transform Your Teaching” di Angela Watson. Questo libro si occupa di cambiare il mindset degli insegnanti e affrontare sfide come il burnout attraverso una prospettiva positiva.

    “Happy Teacher Habits: 11 Habits of the Happiest, Most Effective Teachers on Earth” di Michael Linsin. L’autore esplora abitudini che possono contribuire alla felicità e alla resistenza degli insegnanti, contrastando così eventuali segni di burnout.

  • di C. B.

    Essere in contatto con il “profondo dell’anima” implica spesso il desiderio di vivere in modo autentico, abbracciando la verità di sé stessi e agendo in armonia con i propri valori più profondi. Queste parole dell’ articolo “Il profondo e noi” mi hanno ispirata e al tempo stesso posto interrogativi e qualche dubbio; il contatto con la nostra dimensione interna, il contatto a noi stessi è stata l’occasione di ripensare a ciò che si fa nel corso del tempo: io, C.B., che ho combinato?

    Forse non sono un’amica migliore per nessuno… Forse sono pessima quando al lavoro non parlo con chi non mi degna di un saluto… Forse sono solo stupida se dico a un tale che si avvicina a me “No, grazie” e la mia stupidità è reale o è la proiezione di un mio dubbio, di un mio istinto di conservazione su me stessa e verso il luogo in cui vivo? Sono autentica? Essere autentici e sinceri con se stessi e gli altri è una questione profonda che coinvolge la nostra identità e la nostra relazione con il mondo. In un’epoca in cui le pressioni sociali possono spingerci a mascherare la nostra autenticità, è cruciale riflettere su questa domanda e valutare la sincerità dei nostri rapporti. Tuttavia, essere autentici e sinceri non è sempre facile. La paura del giudizio o la volontà di conformarsi possono rappresentare ostacoli significativi. Superare queste sfide richiede una continua crescita personale e il coraggio di esprimere la propria verità, anche quando è scomoda.

    A volte a me il coraggio manca, mi viene meno. E poi cos’è il coraggio?

    Nella danza della vita, c’è un partner straordinario chiamato coraggio. È un compagno che ci accompagna nei momenti difficili, nelle sfide che ci attendono dietro l’angolo. Tuttavia, il coraggio, come una stella cadente, brilla ancora più intensamente quando ha testimoni. In un mondo che spesso sembra indifferente, il coraggio ha bisogno di essere visto, celebrato e condiviso. E chi meglio di noi stessi può agire da testimoni coraggiosi?

    Essere se stessi in un mondo che spesso richiede maschere è un atto di coraggio. Però,il coraggio raggiunge la sua massima potenza quando ciò che siamo è riconosciuto e accettato da coloro che amiamo e che ci amano. Nel condividere il coraggio, costruiamo una comunità di forza e resilienza. Infatti l’adagio, la massima dice “Il coraggio ha bisogno di testimoni”.

    Forse la forma più pura di coraggio è l’amore. Testimoniare il coraggio nell’amore è abbracciare la vulnerabilità, lottare per le relazioni e difendere ciò che è giusto. A volte ognuno di noi, con il suo cuore aperto e la sua lingua “affilata”, è un testimone straordinario di questo tipo di coraggio.

    In un mondo che spesso sembra troppo occupato per fermarsi e riconoscere la forza coraggiosa che c’è in ognuno di noi, dobbiamo essere i testimoni l’uno dell’altro. Il coraggio è un atto di bellezza selvaggia, e ogni volta che testimoniamo la sua presenza, contribuiamo a far brillare una luce che può attraversare anche le notti più oscure. Siate testimoni, siate coraggiosi e ricordate che la vostra storia è degna di essere raccontata.

  • di Antonio Di Giorgio

    L’espressione “profondo dell’anima” suggerisce una riflessione sulla parte più intima e significativa di sé stessi, spesso associata a dimensioni profonde e complesse della psiche umana. L’esistenza è spesso definita/descritta come un sentiero, una strada, che percorriamo a volte in compagnia – condividendo – oppure in solitario, e il profondo è tutto ciò che è in noi nel nostro animo che talora è chiamato anche “recesso” cioè la parte più intima dei propri pensieri e sentimenti.
    Questa locuzione – profondo dell’anima – è frequentemente utilizzata in contesti che coinvolgono la ricerca di significato, la consapevolezza di sé e la comprensione delle emozioni e delle esperienze più profonde.
    Alcuni concetti e aspetti che sono associati al “profondo dell’anima” includono:

    Inconscio: La psicologia, in particolare l’approccio di Carl Gustav Jung, si occupa dell’inconscio come una parte profonda della psiche che contiene elementi non consapevoli, come i desideri repressi, gli archetipi e le esperienze che influenzano il comportamento.
    Esperienze significative: Il “profondo dell’anima” può riflettere le esperienze che hanno un impatto profondo sulla persona, come amore, perdita, sofferenza, gioia e momenti di profonda riflessione.
    Crescita personale: La ricerca di significato e la crescita personale spesso coinvolgono l’esplorazione delle dimensioni più profonde di sé stessi, cercando di capire chi si è veramente e quale sia il proprio scopo nella vita.
    Spiritualità: Per alcune persone, il “profondo dell’anima” può essere connesso con dimensioni spirituali, esplorando domande esistenziali e cercando un senso più ampio di connessione con qualcosa di trascendente.
    Autenticità: Essere in contatto con il “profondo dell’anima” implica spesso il desiderio di vivere in modo autentico, abbracciando la verità di sé stessi e agendo in armonia con i propri valori più profondi.
    Espressione artistica: L’arte, in molte delle sue forme, può essere un mezzo per esprimere e esplorare il “profondo dell’anima”. La creatività artistica spesso emerge da profonde emozioni, riflessioni e ispirazioni interiori.

    La psicologia junghiana, o analisi junghiana, è una scuola di psicologia fondata sulle idee del famoso psichiatra svizzero Carl Gustav Jung. Jung è stato un allievo di Sigmund Freud (il fondatore dell’ analisi del profondo o psicoanalisi), ma in seguito ha sviluppato le sue teorie psicologiche, che differivano significativamente da quelle del suo mentore.
    La psicologia junghiana si concentra sull’esplorazione dell’inconscio individuale e collettivo. Per inconscio si intende la parte di noi a noi nascosta, nascosta cioè alla nostra realtà vissuta da “svegli”. Alcuni concetti chiave della psicologia junghiana includono:
    Inconscio collettivo: Jung ha introdotto il concetto di “inconscio collettivo”, che rappresenta uno strato dell’inconscio comune a tutta l’umanità. Contiene archetipi, simboli e immagini universali che sono condivisi da culture diverse.
    Archetipi: Jung credeva che ci fossero figure simboliche ricorrenti presenti nell’inconscio collettivo, chiamate archetipi. Questi archetipi sono simboli universali che possono emergere nei miti, nei sogni e nelle opere d’arte.
    Processo di individuazione: La psicologia junghiana promuove il concetto di individuazione, un processo di sviluppo personale che porta alla realizzazione del sé autentico. Coinvolge l’integrazione delle diverse parti della psiche, compresi gli aspetti dell’ombra (parti di noi stessi che non riconosciamo o accettiamo) e la ricerca dell’equilibrio tra opposti complementari, come maschile e femminile.
    Comprensione dei sogni: Jung attribuiva grande importanza all’analisi dei sogni come via per accedere all’inconscio e comprendere meglio il sé.
    Funzione trascendente della psiche: Jung considerava la psiche come una realtà dinamica che può andare oltre la dimensione personale. Questa prospettiva può includere l’esplorazione della spiritualità e della dimensione transpersonale della psiche.

    Accanto a questa scuola psicologica, ve n’è un’altra: la psicologia “transpersonale”.

    La psicologia transpersonale è un’approccio clinico – terapeutico che si focalizza sulla dimensione spirituale e transcendentale della vita umana. Non è assolutamente indicato a tutti. Questa disciplina esplora esperienze che vanno al di là del sé individuale e cerca di integrare la spiritualità nel contesto della psicologia moderna. La psicologia transpersonale riconosce che la dimensione spirituale può avere un impatto significativo sulla salute mentale e sul benessere.

    La psicologia transpersonale ha influenzato diverse discipline, inclusi campi come la psicoterapia, la ricerca sulla coscienza, la spiritualità e la filosofia. Importanti contributori a questa scuola di pensiero includono Abraham Maslow, Stanislav Grof e Ken Wilber. La psicoterapia transpersonale può includere pratiche come la meditazione, la visualizzazione, la mindfulness e l’esplorazione delle esperienze transpersonali per favorire la crescita e la trasformazione personale.

    “La psicologia transpersonale si caratterizza come il contributo degli ambienti scientifici allo studio e alla comprensione dell’esperienza inte- riore di ordine trascendente. Esperienza che nel corso dei secoli ha rice- vuto dalle diverse tradizioni numerose denominazioni: estasi mistica, esperienza cosmica, coscienza cosmica, esperienza oceanica, peak expe- rience, nirvana, satori, samadhi, regno dei cieli, corpo del sogno, nagual, ecc. I principali approcci psicologici attuali definiscono queste categorie di esperienze come fantasie o patologie. In base ai diversi orientamenti teorici della psicologia, queste sono state viste come un tentativo di ap- pagare il desiderio di essere accuditi da una madre buona, la conseguenza di anormalità dell’attività neurale, oppure come il segno di un Io fragile incapace di di-stinguere tra immagini interne e realtà esterna” (*)

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    (*) P. LATTUADA, Oltre la mente, Teoria e pratica della psicologia transpersonale, Franco Angeli, 2018 2°Ed; p. 13.

  • di Giordano De Leyva

    Nella riforma scolastica degli ultimi tempi nelle scuole, in tutti gli ordini, cioè dall’infanzia alle scuole superiori, è stata reintrodotta dopo anni di assenza una materia che negli anni Sessanta e Settanta era un must: Educazione Civica.

    A quei tempi esistevano libricini che offrivano agli insegnanti e ai loro studenti l’occasione per riflettere in modo coscienzioso sul modo di vivere, sui codici che regolano la vita civile dell’Italia, delle città, dei comuni, accanto alla Geografia questa materia, allora, offriva una notevole coscienza di cos’era il Codice della Strada, il Codice Civile e il Penale, e da ultimo si studiava la Costituzione Repubblicana. Oggi non è più così: per favorire una coscienza civica i docenti debbono fare salti mortali di lessico e presentare prima la Costituzione nella sua parte generale, e poi introdurre per cenni cosa sono gli altri codici: le Leggi.

    Molti alunni non conoscono neanche i lessici basilari di questa materia, perché la vivono come un qualche cosa da “sfidare”: negli Stati Uniti la Corte suprema ha deliberato a favore dell’Adolescente in caso commettesse gravissimi reati in virtù della scarsa capacità cognitiva che ha perché i lobi frontali saranno completamente attivi fra i 25 e i 30 anni, per cui c’è da chiedersi: se le Neuroscienze hanno dimostrato alla Corte Suprema degli Usa tale limite che cosa c’è da aspettarsi agli adolescenti di oggi?

    Parole come “Democrazia rappresentativa”, “Legislatore”, rappresentanza e rappresentante, norma, etica sono estranee a questi cittadini del tutto inconsapevoli, che invocano la promozione appellandosi ai TAR con il minimo sforzo e con il portafoglio gonfio dei genitori. Un simile scenario è a dir poco raccapricciante, perché evoca scenari di un futuro triste che sarà nelle mani di cittadini de tutto impreparati da un punto di vista delle scelte di natura rappresentativa.

    Cos’è la democrazia in occidente? Che origini ha?

    La democrazia in Occidente è un sistema di governo in cui il potere politico è basato sulla volontà del popolo. In parole semplici, significa che i cittadini hanno il diritto di partecipare alle decisioni politiche attraverso elezioni. In un sistema democratico, le persone eleggono i loro rappresentanti attraverso il voto e hanno il diritto di esprimere le proprie opinioni. Ci sono anche principi come lo Stato di diritto, la tutela dei diritti individuali e delle libertà fondamentali. In breve, la democrazia occidentale si basa sull’idea che il governo dovrebbe riflettere e rispettare la volontà della maggioranza, proteggendo al contempo i diritti delle minoranze.

    Lo stato di diritto significa che tutte le persone, inclusi i governanti e i governati, sono soggetti alle leggi. In parole semplici, nessuno è al di sopra della legge. Ciò implica che le leggi devono essere chiare, pubbliche, applicate in modo uniforme e garantire i diritti fondamentali di tutti i cittadini. In uno stato di diritto, le decisioni del governo sono limitate e devono essere in conformità con le leggi esistenti.

    Il legislatore è la persona o l’organo responsabile (il Parlamento) che crea le leggi. In parole povere, il legislatore è colui che crea le regole che la gente deve seguire. Questo può essere un corpo legislativo, come un parlamento o un congresso, che discute, propone e vota sulle leggi. In alcuni casi, il legislatore può essere una singola persona o un gruppo ristretto, a seconda del sistema di governo. In ogni caso, il legislatore ha il compito di stabilire le norme e le leggi che regolano la società. Il termine “Parlamento” e “Legislatore” spesso vengono utilizzati in modo intercambiabile, ma in realtà svolgono funzione atta alla ideazione di una Legge.

    Il termine “Legislatore” può quindi essere utilizzato in modo più generale per indicare tutti coloro che partecipano all’atto di fare leggi, indipendentemente dall’organo specifico a cui appartengono.

  • di Giulio Scarpellini

    In psicologia, lutto significa “perdita” e, necessariamente, questa non è legata solo a una persona cara ma può riferirsi anche a un animale, ad un oggetto, ad un elemento fisico, psicologico o spirituale.

    L’ essere umano (senziente) è una “macchina” assai complessa e quasi perfetta. Ogni uomo ha i propri pregi e difetti, tutti sono diversi tra di loro, ma le diversità sono unite dal gelido abbraccio della morte che, come scrive Ugo Foscolo nei Sepolcri, ci accomuna tutti quanti.

    Principalmente l’essere umano ha due modi di reazionarsi al lutto: accettazione o costernazione. Nel primo caso, dopo aver sofferto una perdita, la persona riuscirà a comprendere, rialzarsi e accettare ciò che è accaduto, magari traendone forza e valori, i quali si radicheranno nella sua interiorità fino a farli diventare importanti anche per le persone vicine e per le generazioni future. Un esempio recente può essere la testimonianza della sorella di Giulia Cecchettini, l’ennesima ragazza barbaramente uccisa dal fidanzato; Elena è riuscita a trarre da questo lutto una forza immensa, a trasmettere forza e a fare progetti per il futuro. Oppure mi viene da pensare alla vitalità che trasmettono persone come Liliana Segre che nei campi di sterminio hanno perso gli affetti più cari. Colpite da quello che definirei “male assoluto”, hanno fatto un percorso che le ha portate a testimoniare l’opposto di ciò che hanno sperimentato: amore e libertà.

    Nel secondo caso, invece, la persona in questione non riuscirà a reagire e inizierà un processo di declino in “caduta libera” che la porterà sempre più a fondo. A causa della malinconia e della depressione l’individuo potrebbe tentare di coprire il dolore con delle dipendenze, come l’alcol, la droga, la ludopatia… inoltre potrebbe iniziare ad avere una visione, distorta, maligna, tossica della realtà, materiale e spirituale.

    Come esempio potremmo prendere il poeta Francesco Petrarca che nei testi del Canzoniere parla della morte della sua amata Laura: a causa di questa perdita, egli entrerà in uno stato di estrema malinconia.

    Naturalmente questa è una schematizzazione molto approssimativa del modo di affrontare il lutto poiché ogni persona lo elabora secondo le proprie caratteristiche.

    Anche io ho vissuto un lutto con la morte dei miei bisnonni materni, a me molto cari. Ciò è stato il primo momento in cui ho ragionato sulla morte ed è stato di forte impatto. La prima ad andarsene fu mia nonna Giuliana: quando mi trovai di fronte alla bara non avevo il coraggio né le forze per pronunciare nessuna parola, l’unica cosa che usciva dal mio viso erano delle lacrime, e un accenno silenzioso, Ciao Nonna. Una delle persone più importanti della mia vita se ne era andata.

    La settimana successiva partii per l’Inghilterra, passarono i giorni e la vacanza finì, tornai. Appena arrivato venni a conoscenza che anche mio nonno Nello se ne era andato. In quel momento, dentro di me, capii. Le persone fisicamente non possono esserci per sempre, però con lo spirito e attraverso la loro statura morale rimangono dentro di noi. Infatti gli insegnamenti dei miei bisnonni li porto costantemente nel cuore, soprattutto il consiglio che nella vita anche i momenti più bui vanno affrontarli con un sorriso.